mercoledì 19 ottobre 2011

Sembra che il problema non importi alla gente

Prendendo spunto da un paio di articoli interessanti sulle sfide che l'attuale situazione economica ci impone e alle inevitabili considerazioni e discussioni avute negli ultimi giorni sulla manifestazione degli "indignati" a Roma vorrei esporre due considerazioni: una di carattere più personale ed una legata appunto alla situazione economica, magari apparentemente non strettamente connesse ma che a mio avviso lo sono eccome.
Come già ho avuto modo di scrivere ritengo che la situazione critica dell'economia italiana (e non solo purtroppo...) che mette in difficoltà molte famiglie e toglie prospettive ad una generazione di giovani non può che essere, non solo a parole ma nei fatti, un'occasione per liberarsi dagli schemi che di fronte ad un mondo globalizzato in cui non possiamo più illuderci di essere tra le locomotive del globo, ma nemmeno tra i primi vagoni probabilmente, non possono reggere.

Ancora una volta, anche osservando quanto successo a Roma (e nel resto del mondo) dove con modi diversi giovani e non solo sono scesi in piazza per manifestare il loro disagio per una società in cui non riescono a vedere il proprio spazio, ho rafforzato la mia convinzione che proprio da qui deve nascere, oltre alla magari giusta "indignazione" per alcune storture e magagne della situazione socio-economica, una mossa personale che ci porti a chiederci se qualcuno ci aveva promesso che la generazione dei figli del boom economico avrebbero per forza dovuto avere il diritto di studiare all'università, trovarsi un lavoro ben retribuito non troppo distante da casa con cui assieme ai risparmi dei genitori pagare un mutuo per un appartamento di proprietà ed una bella macchinina per i weekend fuori porta con la famiglia; e per chi proprio non aveva voglia di studiare troppo ci sarebbe stato comunque un impiego dignitoso, uno stipendio magari un poco più modesto ma che per una casa in provincia e qualche serata fuori casa con gli amici sarebbe stato più che sufficiente. Credo che riflettere su questo potrebbe portare a valutare, come sta facendo il sottoscritto, ipotesi che non erano quelle pianificate, trasferirsi in altre regioni o in altre nazioni dove c'è fame di professionalità, reinventarsi una professione nuova che soppianti la vecchia ormai non più richiesta; una flessibilità e imprenditorialità che se ha nel tempo caratterizzato il nostro bel paese sembra essere venuta meno ad una generazione che non è cresciuta con la voglia di crescere.
La seconda considerazione si lega a questa prima perchè prende spunto proprio dalla considerazione che lo stallo per la nostra nazione a fianco di tutte le motivazioni politiche ed economiche ampiamente dibattute sui media ne ha una di carattere culturale che rischia di rivelarsi ancora più determinante nel rischio di non riuscire a restare agganciati alle locomotive della nuova economica mondiale. Il problema culturale è quello che ha visto l'Italia arroccarsi attorno alla miriade di piccole imprese che non riescono mai o quasi mai a crescere; per mancanza di sufficienti investimenti in innovazione e in capitale umano, tecnologia e marketing. Riporto le considerazioni di Abravanel sul Corriere di qualche giorno fa che condivido quando dice che "i piccoli mobilieri non diventano Ikea, gli alberghi familiari non creano nè Starwood nè NH Hotel, i piccoli commercianti e ristoratori non creano formati innovativi, eccetera...". L'analisi continua esponendo alcuni dei motivi per cui in Italia le imprese non crescono e non vogliono crescere, da una politica e un fisco tollerante "perchè se non evadono chiudono" ma che non dicono che se le imprese poco produttive chiudono la loro attività è assorbita da imprese che vogliono crescere proprio grazie alla loro produttività.
Concludo riprendendo ancora un passaggio che reputo emblematico della crisi di imprenditorialità (intesa nel senso più generale) ove si ammonisce che migliaia di piccole imprese devono crescere, essere acquisite dalle grandi o chiudere, e i figli che lavorano nelle aziende dei padri debbono diventare impiegati di imprese più grandi o cambiare mestiere.
Cosa c'entra questo con l'Efficienza Energetica? io credo che c'entri, anzi i ragionamenti fatti per il nanismo dell'imprenditorialità nel manifatturiero penso che valgano ancora di più nella prestazione di servizi professionali, dove società in grado di offrire servizi innovativi e competitivi in un panorama internazionale si trovano a fare i conti con equilibri tenuti da ordini professionali che probabilmente preferiscono affondare tutti insieme piuttosto che ledere qualche presunto diritto acquisito; fin quando arriverà qualche multinazionale tedesca (se non indiana) non curante di queste cose "da italiani" e occuperà questo settore, magari accaparrandosi anche una bella fetta degli incentivi pubblici che ci sono sul tavolo, e tanti saluti.
...ma per riprendere il titolo del post tratto da un'allegra canzoncina per bimbi, troppo spesso "leggo sui giornali, non c'è scritto niente, sembra che il problema non importi alla gente".

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